giovedì 21 febbraio 2013

CATENACCIO? PERCHE' NO

Immagine creata dal sottoscritto dopo la sconfitta dell'Italia contro la
Spagna
nella finale dell'europeo 2012

La vittoria del Milan di ieri sera contro sua mastà il Barcellona ha risvegliato le menti di moli tifosi del diavolo che ricordano con molta nostalgia il grande Milan di Nereo Rocco. Una vittoria che vale una stagione, non tanto sotto l'aspetto qualificazione, tanto per un valore simbolico, etico e tradizionale.
Una vittoria che esprime e racchiude in soli 90 minuti la storia del nostro calcio, un calcio che cura in modo particolare la fase difensiva dove noi italiani risultiamo essere maestri.
La parola Catenaccio nasce negli anni 30 in Svizzera, Nereo Rocco fu tra i primi ad applicare il catenaccio in Italia, fin dal 1946-47, sua prima stagione come tecnico della Triestina. Il modulo di Rocco, cui talora ci si riferisce come il "vero" catenaccio, prevedeva comunemente una formazione del tipo 1-3-3-3 con un atteggiamento rigidamente difensivo. Alcune variazioni sul tema prevedevano schemi come l'1-4-4-1 e 1-4-3-2. Valendosi di questo schema Rocco riuscì addirittura a portare la squadra giuliana ad un sorprendente secondo posto finale nel campionato 1947-48, ripetendosi dieci anni dopo col Padova, giunto terzo nella stagione 1957-58. Una volta passato sulla panchina del Milan, riuscì a vincere nel decennio dei sessanta due titoli italiani, due Coppe dei Campioni, una Coppa intercontinentale ed una Coppa delle Coppe.
Un altro famoso interprete del catenaccio fu l’allenatore argentino dell'Inter Helenio Herrera che, sempre negli anni sessanta, vinse tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Il modulo di Herrera prevedeva lo schieramento di quattro difensori cui erano assegnati compiti di stretta marcatura sull'uomo con un libero alle loro spalle. Davanti al pacchetto arretrato si posizionava un regista capace di lunghi e precisi passaggi per superare il centrocampo avversario e servire i centrocampisti avanzati e le punte.
In Italia in questi anni si è cercato di imitare le culture calcistiche degli altri paesi, il modello spagnolo ad esempio è il più studiato, non a caso l'Italia di Prandelli ha cercato di improntare una fase di costruzione di gioco importata dall'estero che prevede una manovra proiettata all'attacco.
A volte però attaccare e costruire non è sinonimo di vittoria, anzi, al contrario, i grandi trionfi e i più grandi successi delle nostre squadre di club e della nazionale provengono proprio dalla meticolosa e rigida fase difensiva dove noi italiani risultiamo essere i number one.
Ieri sera il Milan è riuscito nell'impresa di battere la squadra più forte al mondo nella maniera più banale possibile, chiudere tutti gli spazi di gioco dei blaugrana grazie ad una disponibilità totale di tutta la squadra. Difendersi in 11 non è semplice sopratutto a livello mentale, si sa che un attaccante non è predisposto al sacrificio, ed è in questo aspetto che Allegri ha fatto la differenza, riuscendo ad inculcare ai propri giocatori la mentalità ideale per giocare alla pari contro Messi e company.
Sono consapevole che la partita di ritorno sarà molto diversa, il Barcellona è capace di tutto e non mi stupirei se riuscisse a ribaltare il risultato. Di una cosa sono certo, nel gioco del calcio niente è superato, ben vengano i catenacci, le barricate o i bunker, non è questo aspetto che conta, è l'efficacia l'aspetto dominante di ogni cosa, e se il risultato è positivo non ho altro da aggiungere.

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